Numero 64 - Anno XVIII - N°2

Taiji Quan stile Chen. Oltre la forma

Grazie alla larga diffusione del Taiji Quan nel mondo ed alle diverse possibilità di studio offerte ai praticanti contemporanei di tutto il pianeta (vedi: seminari dei più celebri maestri cinesi organizzati nei maggiori paesi, opportunità di formazione in Cina, larga diffusione di video didattici…), riusciamo, al giorno d’oggi, ad avere una visione del Taiji sempre più ricca e variegata. Una delle cose che risalta maggiormente a chi piace “guardarsi intorno”, per amore del confronto o solo per sana curiosità, è di certo la spiccata differenza, o talvolta la semplice sfumatura, che si riscontra tra la pratica di una scuola (e/o di un maestro) e quella di un’altra. Volendo soffermarsi sull’aspetto della Forma (Tao Lu), si può certamente affermare che anche all’occhio del praticante meno esperto (che abbia avuto modo di vedere anche soltanto un paio di maestri, appartenenti a scuole diverse ma praticanti lo stesso stile di Taiji) risulta evidente una certa differenza di esecuzione delle varie figure o posizioni. È inevitabile che il neofita si ponga le fatidiche domande: qual è la forma migliore? Qual è la più corretta? Qual è la più tradizionale? Qual è la più efficace? E così via… In realtà queste domande non possono avere una risposta oggettiva, così come non si può trovare “la verità” in un’unica scuola escludendo tutte le altre. Diversi invece sono i motivi che generano la differenza, sempre se, oltrepassando l’aspetto più superficiale della questione, di differenza si può parlare. Pertanto…
1. L’idea che sta alla base del Taiji Quan non può che essere una soltanto, ma questa viene per forza di cose interpretata soggettivamente, anche a seconda della personalità di ogni singolo praticante.
2. Cambiando l’intenzione (Yi) cambia il modo di “vivere” l’intera forma; ogni singola figura, inoltre, assume connotazioni leggermente diverse (si pensi alle innumerevoli potenzialità nascoste in ogni movimento ed alle svariate applicazioni marziali in esso contenute).
3. Il “sentire” la forma di ogni importante maestro diventa, per quest’ultimo, la propria “firma” o “impronta”, che egli trasmette inevitabilmente ai suoi allievi. Un occhio esperto e attento, infatti, spesso è in grado di risalire al maestro o alla scuola di un praticante semplicemente osservandone le movenze (a patto che il maestro sia conosciuto!).


Parlando di Taiji Quan stile Chen, possiamo prendere come esempio i “Quattro Guerrieri di Buddha” (o Quattro Tigri): Chen Xiaowang, Wang Xian, Chen Zhenglei e Zhu Tiancai, esponenti della diciannovesima generazione della famiglia Chen, riconosciuti dalla maggior parte dei praticanti come i più grandi maestri o, comunque, come i più rappresentativi. I quattro, pur avendo avuto gli stessi maestri (Chen Zaopei e Chen Zhaokui), evidenziano alcune differenze in termini di movimento, o per meglio dire, differenti interpretazioni delle medesime forme d’allenamento. Osservando il “modo di muovere” di ognuno di loro è facile farsi un’idea, anche questa personale e del tutto soggettiva, del tipo di pratica espressa da ciascuno.
Chen Xiaowang sembra avere una struttura impeccabile, dà l’idea di una montagna, o di un carro armato che si muove, i suoi “cerchi” sono per lo più larghi e percorrono ampie traiettorie a spirale. La sua figura, dall’aria particolarmente austera, sembra imporsi all’osservatore. Il radicamento a terra appare come uno dei suoi punti di forza, così come il suo Fa Jin particolarmente intenso ed esplosivo. Wang Xian lascia trasparire un Yi (intenzione) inequivocabilmente marziale.


Le movenze ricordano quelle di un predatore (un falco o un serpente con le sue spire…) che osserva la sua preda immerso in una profonda e attenta quiete, in attesa del momento propizio, per poi scagliarvisi contro inaspettato e definitivo. Le sue spirali disegnano grandi curve che contengono al loro interno altri piccolissimi cerchi: il movimento risulta sottile e tagliente, il suo Fa Jin imprevedibile e nascosto. Chen Zhenglei si muove fluttuando, come un mare lievemente mosso e, a tratti, increspato. I suoi “cerchi”, come onde, crescono e si gonfiano per poi frangersi fragorosamente contro la scogliera. L’intenzione risulta impenetrabile, decisa ma celata all’osservatore esterno.
L’intenzione di Zhu Tiancai, invece, pare quella del “guidare e condurre” (Dao Yin) la forza alla maniera di un certo tipo di Qi Gong. I movimenti di espansione e contrazione, di apertura e chiusura sono molto evidenti e si susseguono come un grande respiro che pulsa in simbiosi con l’universo. L’accento, quindi, è sicuramente posto su una tipologia di pratica che favorisce massimamente la salute e incrementa la vitalità (il Maestro, fra l’altro, ha sempre un ottimo umore! N.d.A.).


Tengo a precisare ancora che quanto descritto sopra non è altro che quello che appare ai miei occhi (ho avuto la possibilità di allenarmi più volte con tre di loro): una mia idea personale che può anche non essere condivisa. Abbiamo visto dunque come la stessa sequenza codificata possa adattarsi come un vestito alle caratteristiche ed alla personalità del praticante… ed è così che deve essere!
Il mio Maestro, il M° Gianfranco Pace, esorta spesso i suoi allievi a riempire di significato le figure della forma attraverso una pratica mossa da un’idea precisa e da un’intenzione forte. Inoltre invita a sperimentare di continuo i vari modi di “vivere la forma” focalizzandosi ogni volta su un’idea sempre diversa. “Provate a praticare ispirandovi alla morbida impetuosità dell’acqua che scorre, sentitevi, ad esempio, come un ruscello che cambia e si trasforma a seconda del tragitto che percorre”. Oppure: “Siate come il vento che spira fra le fronde, leggero come una carezza o travolgente come un uragano. Se invece preferite essere una tigre o un’aquila… beh, siatelo pure!”.
In occasione del VII° Stage Internazionale I.T.K.A. (International Taiji Quan Kung Fu Association) dello scorso anno, il Maestro Pace ha improntato le sue lezioni sul concetto (e sull’esigenza) di “Uscire dalla Forma”: nell’arco di quei dieci giorni di pratica intensa, infatti, egli ha proposto la forma, la Xin Jia Yi Lu, interpretandola ogni volta con intenzione diversa e cambiando costantemente l’idea di base che l’animava. Si è passati quindi attraverso una pratica dai colori cangianti e dalle sfumature sempre nuove, in un prisma cromatico che partiva da movenze lente, ampie e quasi completamente prive di esplosioni di forza, per arrivare ad una forma serrata, “cattiva”, con spirali strette e innumerevoli Fa Jin che nascevano nei passaggi più impensabili.
Si è concretamente compreso che non esiste una sola forma, ma dieci, cento, mille forme. Naturalmente la stragrande maggioranza dei presenti si è trovata in seria difficoltà: non è di certo facile andare al di là della propria visione, della propria idea predefinita, del proprio “si fa così”… eppure bisogna farlo.
Nella tradizione della gran parte delle discipline marziali (non solo cinesi o giapponesi) si pone innanzitutto l'attenzione sullo studio di determinate forme al fine di acquisire, tramite la ripetizione costante delle varie figure ed il condizionamento ai movimenti codificati, quei principi e quelle modalità che caratterizzano ogni specifico stile. Lo studio delle sequenze prestabilite però nasconde un grosso rischio che ogni tipologia di praticante ed ogni serio studente non dovrebbe mai sottovalutare: quello di fossilizzarsi e rimanere prigioniero di un'accozzaglia di movimenti e, quindi, di non poter esprimere in maniera libera e spontanea le reali potenzialità dell'arte praticata.
Quanto affermato sopra è, a mio avviso, di fondamentale importanza perchè bisogna ricordare che la forma, che deve comunque rimanere al primo posto nel programma di pratica quotidiana, non è il fine del praticante ma il mezzo per ottenere determinate qualità (modo di muovere) ed avvicinarsi sempre di più ad "essere il Taiji". Ma per poter "essere il Taiji" bisogna necessariamente, al momento opportuno, "Uscire dalla Forma". Attenzione però... che questo non significhi uscire dai binari (e quindi deragliare)!
Ben venga la sperimentazione, ma sempre aderendo alle indicazioni ed ai principi declamati dai "Classici del Taiji Quan". Buon allenamento!