Grazie alla larga diffusione del Taiji Quan nel mondo ed alle diverse
possibilità di studio offerte ai praticanti contemporanei di tutto il
pianeta (vedi: seminari dei più celebri maestri cinesi organizzati nei
maggiori paesi, opportunità di formazione in Cina, larga diffusione
di video didattici…), riusciamo, al giorno d’oggi, ad avere una
visione del Taiji sempre più ricca e variegata.
Una delle cose che risalta maggiormente a chi piace “guardarsi
intorno”, per amore del confronto o solo per sana curiosità, è di
certo la spiccata differenza, o talvolta la semplice sfumatura, che si
riscontra tra la pratica di una scuola (e/o di un maestro) e quella di
un’altra. Volendo soffermarsi sull’aspetto della Forma (Tao Lu), si
può certamente affermare che anche all’occhio del praticante meno
esperto (che abbia avuto modo di vedere anche soltanto un paio di
maestri, appartenenti a scuole diverse ma praticanti lo stesso stile
di Taiji) risulta evidente una certa differenza di esecuzione delle
varie figure o posizioni.
È inevitabile che il neofita si ponga le fatidiche domande: qual è la
forma migliore? Qual è la più corretta? Qual è la più tradizionale?
Qual è la più efficace? E così via…
In realtà queste domande non possono avere una risposta
oggettiva, così come non si può trovare “la verità” in un’unica
scuola escludendo tutte le altre. Diversi invece sono i motivi che
generano la differenza, sempre se, oltrepassando l’aspetto più
superficiale della questione, di differenza si può parlare. Pertanto…
1. L’idea che sta alla base del Taiji Quan non può che essere
una soltanto, ma questa viene per forza di cose interpretata
soggettivamente, anche a seconda della personalità di ogni singolo
praticante.
2. Cambiando l’intenzione (Yi) cambia il modo di “vivere”
l’intera forma; ogni singola figura, inoltre, assume connotazioni
leggermente diverse (si pensi alle innumerevoli potenzialità
nascoste in ogni movimento ed alle svariate applicazioni marziali in
esso contenute).
3. Il “sentire” la forma di ogni importante maestro diventa, per
quest’ultimo, la propria “firma” o “impronta”, che egli trasmette
inevitabilmente ai suoi allievi. Un occhio esperto e attento, infatti,
spesso è in grado di risalire al maestro o alla scuola di un praticante
semplicemente osservandone le movenze (a patto che il maestro
sia conosciuto!).
Parlando di Taiji Quan stile Chen,
possiamo prendere come esempio i “Quattro Guerrieri di Buddha” (o Quattro
Tigri): Chen Xiaowang, Wang Xian, Chen Zhenglei e Zhu Tiancai, esponenti
della diciannovesima generazione della famiglia Chen, riconosciuti dalla
maggior parte dei praticanti come i più grandi maestri o, comunque, come i più
rappresentativi. I quattro, pur avendo avuto gli stessi maestri (Chen Zaopei
e Chen Zhaokui), evidenziano alcune differenze in termini di movimento, o
per meglio dire, differenti interpretazioni delle medesime forme d’allenamento.
Osservando il “modo di muovere” di ognuno di loro è facile farsi un’idea,
anche questa personale e del tutto soggettiva, del tipo di pratica espressa
da ciascuno.
Chen Xiaowang sembra avere una struttura impeccabile, dà l’idea di una
montagna, o di un carro armato che si muove, i suoi “cerchi” sono per lo più
larghi e percorrono ampie traiettorie a spirale. La sua figura, dall’aria
particolarmente austera, sembra imporsi all’osservatore. Il radicamento a terra
appare come uno dei suoi punti di forza, così come il suo Fa Jin particolarmente
intenso ed esplosivo. Wang Xian lascia trasparire un Yi (intenzione) inequivocabilmente marziale.
Le movenze ricordano quelle di un predatore (un falco o un serpente con
le sue spire…) che osserva la sua preda immerso in una profonda e attenta
quiete, in attesa del momento propizio, per poi scagliarvisi contro inaspettato
e definitivo. Le sue spirali disegnano grandi curve che contengono al loro
interno altri piccolissimi cerchi: il movimento risulta sottile e tagliente, il
suo Fa Jin imprevedibile e nascosto. Chen Zhenglei si muove fluttuando,
come un mare lievemente mosso e, a tratti, increspato. I suoi “cerchi”,
come onde, crescono e si gonfiano per poi frangersi fragorosamente
contro la scogliera. L’intenzione risulta impenetrabile, decisa ma celata
all’osservatore esterno.
L’intenzione di Zhu Tiancai, invece, pare quella del “guidare e condurre”
(Dao Yin) la forza alla maniera di un certo tipo di Qi Gong. I movimenti di
espansione e contrazione, di apertura e chiusura sono molto evidenti e si
susseguono come un grande respiro che pulsa in simbiosi con l’universo.
L’accento, quindi, è sicuramente posto su una tipologia di pratica che
favorisce massimamente la salute e incrementa la vitalità (il Maestro, fra
l’altro, ha sempre un ottimo umore! N.d.A.).