Col passare degli anni sempre più persone si dedicano alla pratica
delle arti cinesi ed in particolare del taiji quan. Come sempre
accade nei casi in cui c’è un vero e proprio “boom” all’improvviso
cominciano a publicarsi libri, riviste ed è tutto un proliferare di
corsi, stage, seminari ecc...
Come insegnante di taiji e studente in particolare di questa
disciplina e del qi gong da circa 20 anni e avendo passato gli ultimi
12 seguendo assiduamente il Gran Maestro Chen Xiaowang (cioè
uno dei principali esponenti del taiji ed in particolare del taiji stile
chen) credo di avere assistito a tutto questo fenomeno di grande
diffusione del taiji da disciplina per pochi iniziati a pratica ormai
diffusa come un corso di yoga o di Karate (discipline a cui somiglia
molto di più di quanto non si creda). Sono veramente contento
di tutto questo anche se ritengo che forse è arrivato il momento,
dopo questo entusiasmo iniziale, di lavorare un po’ più sulla
qualità oltre che sulla quantità. In questo articolo vorrei cominciare
quindi a spiegare alcuni principi fondamentali del taiji e cercare di
chiarire i vari e purtroppo numerosi errori che spesso si leggono su
vari “classici” oppure si sentono in alcuni corsi di taiji.
Per prima cosa bisogna cercare di capire come si fa a studiare
correttamente da un Maestro, cioè come studiare oltre che quanto;
infatti molti credono che basti imparare una forma (magari anche
correttamente) poi ripetere nel modo “giusto” molte volte, per
molti giorni, al limite per molti anni ed all’improvviso i canali del
chi (l’energia interna) si apriranno, le applicazioni verrano fuori da
sole e si potrebbe anche raggiungere l’illuminazione. Potremmo
anche aggiungere che così facendo si può imparare a cucinare una
buona pizza e magari diventare divi del cinema e la frittata sarebbe
ancora più completa. Tornando un po’ più seri invece la realtà e
assai diversa; una delle prima cose che il M° Chen mi insegnò fu:
“seguire i principi non i Maestri”, cosa significa questa frase?
Il significato, a prima vista oscuro, è in realtà molto chiaro:
bisogna sempre usare la propria testa, capire cosa si sta facendo
e perchè ed inquadrare il tutto in un sistema coerente, capendo
di volta in volta a che punto della “scala” ci si trova. Ovviamente
senza la pratica una corretta comprensione è impossibile ma se
pratichiamo meccanicamente solo seguendo la forma del maestro
come dei robot, alla fine al massimo otterremo una buona forma di
ginnastica.
Il M° Chen fa un esempio molto chiaro in proposito: ricorda di
un Maestro di stile chen a Singapore che aveva un problema ai
legamenti del ginocchio; quando durante la forma doveva calciare
faceva un’evidente smorfia di dolore a causa dell’infortunio e gli
allievi, dato che lo seguivano come un robot, facevano la stessa
smorfia anche se avevano i legamenti a posto! Questa storia
sembra assurda ma vi posso assicurare che in tanti anni in giro in
Italia e nel mondo col Maestro ho visto questo ed altro.
Il Maestro ci indica la via, ci spiega i principi e come il suo (non il
nostro) corpo si muove per rispettarli, poi sta a noi, al nostro lavoro
di qualità oltre che di quantità tradurre tutto questo nel “nostro”
taiji. All’inizio il Maestro è necessario, perchè senza usciremmo
sicuramente dalla strada corretta dato che i principi non sono
stati assimilati; dopo un po’ il Maestro va certamente rivisto di
tanto in tanto per rifinire, ma il grosso dei progressi dipende dal
nostro lavoro personale, poi dobbiamo continuare da soli e trovare
esattamente la nostra strada.
Nella tradizione del taiji chen questo percorso
si indica con un triangolo percorso al suo
interno da una curva: alla base del triangolo
la curva esce e poi rientra dal triangolo stesso
e ciò significa che l’allievo ha bisogno del
maestro passo dopo passo per non andare fuori
strada; salendo la curva non esce più e questo
proprio perchè col tempo e seguendo i principi
l’allievo si evolve senza mai deviare troppo dai
principi stessi e quindi può correggersi da solo:
il maestro non è più necessario. Si disegna una
curva e non una retta perchè il percorso è a “zig
zag” con alti e bassi, cioè non si può progredire
senza errori o momenti “no” andando diritti
diritti (la retta) fino alla meta.
Il M° Chen una volta mi disse: “Mario se ora
fai la forma come te la insegno io va bene,
ma se tra 10 anni la farai ancora uguale
a me significherà che non hai studiato
correttamente”. Il senso è proprio questo
appena spiegato; ecco perché molti Maestri si
muovono in modo a volte molto diverso, anche
avendo tutti studiato dagli stessi Maestri;
molti mi dicono di rimanere confusi davanti
a questo proprio perchè non hanno ancora
capito “come” si studia taiji. Nella tradizione
della famiglia chen si parla di 5 livelli di pratica
ed evoluzione base che corrispondono ai vari
progressi fisici, energetici ed applicativi ed ai
quali noi dobbiamo onestamente rapportarci
quando proviamo a migliorare; infatti è
un grande errore non essere onesti con se
stessi e cioè autoilludersi di essere in grado
di fare certe cose o sentire certe sensazioni
energetiche. Purtroppo chi ha percorso questa
scorciatoia non onesta quando poi ha provato
a testare il suo reale livello con il Maestro o con
dei validi combattenti di altri stili marziali ha
fatto solo una brutta figura; ho assistito a delle
scene veramente tristi dove la presunzione dei
praticanti presunti “Maestri” si è tristemente
scontrata con la realtà. Il problema, è bene
chiarirlo, non è nella validità del sistema ma
nella qualità e quantità dell’apprendimento
sempre che questo sia avvenuto per mano di
un vero Maestro. Quindi consiglio ai lettori di
questa rivista ed ai praticanti seri con voglia
autentica di migliorarsi di cercare un vero
Maestro e poi di seguirlo con lo spirito che
ho provato a spiegare: un cuore sincero e
disinteressato, una sana e concreta voglia di
praticare con il corpo ma anche con la testa,
capendo sempre cosa stiamo facendo e perché,
e non pensando che il maestro possa insegnarci
tutto ma seguendo con umiltà i suoi principi, il
resto allora veramente verrà da se.
Durante un seminario in Italia molti anni fa il Maestro Chen mi disse:
“Posso insegnarti la direzione corretta per andare a Roma anzichè a Milano ma
poi la direzione per Roma centro la devi trovare da solo” credo che ora ai lettori
sarà chiaro cosa volesse dire. Quindi quando sentite o vedete insegnanti che
dopo 10 o più anni ancora seguono il Maestro come un ombra (e non per motivi
affettivi ma tecnici) e magari praticano pochino per i fatti loro vi consiglio di essere
estremamente diffidenti su quanto potranno insegnarvi.
Forse è proprio a causa di gente del genere se oggi si considerano “principi classici”
alcuni errori clamorosi: in questo articolo cercherò di spiegarne uno, magari poi in
futuro torneremo su altri di questi errori.
Quante volte leggendo i “classici” o sentendo degli insegnanti avete sentito più o
meno questa frase a proposito della emissione della forza (il famoso fajin):
“la forza parte dai piedi è diretta dalla vita emessa dalla schiena e si manifesta nelle
mani”. Che frase sconvolgente!
Non è che i Classici del taiji contengano errori così grossolani (aspetto comunque
che qualcuno un giorno mi spieghi chi e come attribuisce la patente di “classici” a
certi testi…) il problema sta il più delle volte nell’interpretazione che non ha colto
nel segno e negli insegnanti che non hanno purtroppo studiato correttamente,
mettendo così a loro volta fuori strada gli allievi che vengono, si spera in buona
fede, “ingannati”. Se infatti facessimo partire la forza dai piedi dovremmo
considerare il taiji uno stile esterno dato che sarebbero gli arti
(inferiori in questo caso) la sorgente iniziale di forza, l’input del
movimento. Sarebbe quasi come dare un pugno facendo
partire la forza dalla spalla: un errore altrettanto grave.
Da un punto di vista marziale basterebbe fermare o bloccare
i piedi per fermare gran parte della forza e poi i movimenti
sarebbero lenti ed innaturali perchè lontani dal baricentro;
diventeremmo non solo goffi ma anche deboli e prevedibili.
La forza invece inizia dal DanTian, il centro energetico e
fisico del corpo, posto circa 3-5 dita sotto l’ombelico e
altrettante in profondità; l’input iniziale viene sempre da lì
e solo dopo si trasmette eventualmente alla gambe; dico
eventualmente perché per esempio in alcune tecniche
volanti, e non solo, non è così. Il dantian è la sorgente
del chi ed è anche il baricentro, ogni movimento parte
da lì non certo dai piedi; inoltre la vita che contiene il
dantian non è solo responsabile nel dirigere la forza
ma la produce essa stessa, oltre che dare inizio alla
forza di tutto il corpo. Se non si capisce questo punto
non si possono applicare i principi taiji ai movimenti,
ci sono molti esercizi nel taiji chen che servono
proprio a questo.
Far partire la forza dai piedi è facile da
immaginare e da eseguire, ma produce
risultati assai modesti, inoltre sarebbe ora
che i praticanti di taiji, soprattutto in Italia
cominciassero a pensare all’emissione della forza
(il fajin) non solo in termini di “spinta”, cosa molto
limitante e che forse ha concorso nel determinare
questo principio così sbagliato.
Il Maestro Chen dice spesso “ci sono molti
movimenti nel taiji, alcuni lenti, altri esplosivi,
altri ancora anche molto complessi, ma tutti
seguono lo stesso principio: il dan tian si
muove ed il resto del corpo segue”.
Cercherò magari in futuro di spiegare
ancora meglio questo principio e le sue
applicazioni.