Numero 64 - Anno XVIII - N°2

Taiji Per una corretta pratica


Col passare degli anni sempre più persone si dedicano alla pratica delle arti cinesi ed in particolare del taiji quan. Come sempre accade nei casi in cui c’è un vero e proprio “boom” all’improvviso cominciano a publicarsi libri, riviste ed è tutto un proliferare di corsi, stage, seminari ecc...
Come insegnante di taiji e studente in particolare di questa disciplina e del qi gong da circa 20 anni e avendo passato gli ultimi 12 seguendo assiduamente il Gran Maestro Chen Xiaowang (cioè uno dei principali esponenti del taiji ed in particolare del taiji stile chen) credo di avere assistito a tutto questo fenomeno di grande diffusione del taiji da disciplina per pochi iniziati a pratica ormai diffusa come un corso di yoga o di Karate (discipline a cui somiglia molto di più di quanto non si creda). Sono veramente contento di tutto questo anche se ritengo che forse è arrivato il momento, dopo questo entusiasmo iniziale, di lavorare un po’ più sulla qualità oltre che sulla quantità. In questo articolo vorrei cominciare quindi a spiegare alcuni principi fondamentali del taiji e cercare di chiarire i vari e purtroppo numerosi errori che spesso si leggono su vari “classici” oppure si sentono in alcuni corsi di taiji. Per prima cosa bisogna cercare di capire come si fa a studiare correttamente da un Maestro, cioè come studiare oltre che quanto; infatti molti credono che basti imparare una forma (magari anche correttamente) poi ripetere nel modo “giusto” molte volte, per molti giorni, al limite per molti anni ed all’improvviso i canali del chi (l’energia interna) si apriranno, le applicazioni verrano fuori da sole e si potrebbe anche raggiungere l’illuminazione. Potremmo anche aggiungere che così facendo si può imparare a cucinare una buona pizza e magari diventare divi del cinema e la frittata sarebbe ancora più completa. Tornando un po’ più seri invece la realtà e assai diversa; una delle prima cose che il M° Chen mi insegnò fu: “seguire i principi non i Maestri”, cosa significa questa frase? Il significato, a prima vista oscuro, è in realtà molto chiaro: bisogna sempre usare la propria testa, capire cosa si sta facendo e perchè ed inquadrare il tutto in un sistema coerente, capendo di volta in volta a che punto della “scala” ci si trova. Ovviamente senza la pratica una corretta comprensione è impossibile ma se pratichiamo meccanicamente solo seguendo la forma del maestro come dei robot, alla fine al massimo otterremo una buona forma di ginnastica.

Il M° Chen fa un esempio molto chiaro in proposito: ricorda di un Maestro di stile chen a Singapore che aveva un problema ai legamenti del ginocchio; quando durante la forma doveva calciare faceva un’evidente smorfia di dolore a causa dell’infortunio e gli allievi, dato che lo seguivano come un robot, facevano la stessa smorfia anche se avevano i legamenti a posto! Questa storia sembra assurda ma vi posso assicurare che in tanti anni in giro in Italia e nel mondo col Maestro ho visto questo ed altro. Il Maestro ci indica la via, ci spiega i principi e come il suo (non il nostro) corpo si muove per rispettarli, poi sta a noi, al nostro lavoro di qualità oltre che di quantità tradurre tutto questo nel “nostro” taiji. All’inizio il Maestro è necessario, perchè senza usciremmo sicuramente dalla strada corretta dato che i principi non sono stati assimilati; dopo un po’ il Maestro va certamente rivisto di tanto in tanto per rifinire, ma il grosso dei progressi dipende dal nostro lavoro personale, poi dobbiamo continuare da soli e trovare esattamente la nostra strada.

Nella tradizione del taiji chen questo percorso si indica con un triangolo percorso al suo interno da una curva: alla base del triangolo la curva esce e poi rientra dal triangolo stesso e ciò significa che l’allievo ha bisogno del maestro passo dopo passo per non andare fuori strada; salendo la curva non esce più e questo proprio perchè col tempo e seguendo i principi l’allievo si evolve senza mai deviare troppo dai principi stessi e quindi può correggersi da solo: il maestro non è più necessario. Si disegna una curva e non una retta perchè il percorso è a “zig zag” con alti e bassi, cioè non si può progredire senza errori o momenti “no” andando diritti diritti (la retta) fino alla meta.

Il M° Chen una volta mi disse: “Mario se ora fai la forma come te la insegno io va bene, ma se tra 10 anni la farai ancora uguale a me significherà che non hai studiato correttamente”. Il senso è proprio questo appena spiegato; ecco perché molti Maestri si muovono in modo a volte molto diverso, anche avendo tutti studiato dagli stessi Maestri; molti mi dicono di rimanere confusi davanti a questo proprio perchè non hanno ancora capito “come” si studia taiji. Nella tradizione della famiglia chen si parla di 5 livelli di pratica ed evoluzione base che corrispondono ai vari progressi fisici, energetici ed applicativi ed ai quali noi dobbiamo onestamente rapportarci quando proviamo a migliorare; infatti è un grande errore non essere onesti con se stessi e cioè autoilludersi di essere in grado di fare certe cose o sentire certe sensazioni energetiche. Purtroppo chi ha percorso questa scorciatoia non onesta quando poi ha provato a testare il suo reale livello con il Maestro o con dei validi combattenti di altri stili marziali ha fatto solo una brutta figura; ho assistito a delle scene veramente tristi dove la presunzione dei praticanti presunti “Maestri” si è tristemente scontrata con la realtà. Il problema, è bene chiarirlo, non è nella validità del sistema ma nella qualità e quantità dell’apprendimento sempre che questo sia avvenuto per mano di un vero Maestro. Quindi consiglio ai lettori di questa rivista ed ai praticanti seri con voglia autentica di migliorarsi di cercare un vero Maestro e poi di seguirlo con lo spirito che ho provato a spiegare: un cuore sincero e disinteressato, una sana e concreta voglia di praticare con il corpo ma anche con la testa, capendo sempre cosa stiamo facendo e perché, e non pensando che il maestro possa insegnarci tutto ma seguendo con umiltà i suoi principi, il resto allora veramente verrà da se.

Durante un seminario in Italia molti anni fa il Maestro Chen mi disse: “Posso insegnarti la direzione corretta per andare a Roma anzichè a Milano ma poi la direzione per Roma centro la devi trovare da solo” credo che ora ai lettori sarà chiaro cosa volesse dire. Quindi quando sentite o vedete insegnanti che dopo 10 o più anni ancora seguono il Maestro come un ombra (e non per motivi affettivi ma tecnici) e magari praticano pochino per i fatti loro vi consiglio di essere estremamente diffidenti su quanto potranno insegnarvi. Forse è proprio a causa di gente del genere se oggi si considerano “principi classici” alcuni errori clamorosi: in questo articolo cercherò di spiegarne uno, magari poi in futuro torneremo su altri di questi errori.

Quante volte leggendo i “classici” o sentendo degli insegnanti avete sentito più o meno questa frase a proposito della emissione della forza (il famoso fajin): “la forza parte dai piedi è diretta dalla vita emessa dalla schiena e si manifesta nelle mani”. Che frase sconvolgente!
Non è che i Classici del taiji contengano errori così grossolani (aspetto comunque che qualcuno un giorno mi spieghi chi e come attribuisce la patente di “classici” a certi testi…) il problema sta il più delle volte nell’interpretazione che non ha colto nel segno e negli insegnanti che non hanno purtroppo studiato correttamente, mettendo così a loro volta fuori strada gli allievi che vengono, si spera in buona fede, “ingannati”. Se infatti facessimo partire la forza dai piedi dovremmo considerare il taiji uno stile esterno dato che sarebbero gli arti (inferiori in questo caso) la sorgente iniziale di forza, l’input del movimento. Sarebbe quasi come dare un pugno facendo partire la forza dalla spalla: un errore altrettanto grave. Da un punto di vista marziale basterebbe fermare o bloccare i piedi per fermare gran parte della forza e poi i movimenti sarebbero lenti ed innaturali perchè lontani dal baricentro; diventeremmo non solo goffi ma anche deboli e prevedibili. La forza invece inizia dal DanTian, il centro energetico e fisico del corpo, posto circa 3-5 dita sotto l’ombelico e altrettante in profondità; l’input iniziale viene sempre da lì e solo dopo si trasmette eventualmente alla gambe; dico eventualmente perché per esempio in alcune tecniche volanti, e non solo, non è così. Il dantian è la sorgente del chi ed è anche il baricentro, ogni movimento parte da lì non certo dai piedi; inoltre la vita che contiene il dantian non è solo responsabile nel dirigere la forza ma la produce essa stessa, oltre che dare inizio alla forza di tutto il corpo. Se non si capisce questo punto non si possono applicare i principi taiji ai movimenti, ci sono molti esercizi nel taiji chen che servono proprio a questo.

Far partire la forza dai piedi è facile da immaginare e da eseguire, ma produce risultati assai modesti, inoltre sarebbe ora che i praticanti di taiji, soprattutto in Italia cominciassero a pensare all’emissione della forza (il fajin) non solo in termini di “spinta”, cosa molto limitante e che forse ha concorso nel determinare questo principio così sbagliato. Il Maestro Chen dice spesso “ci sono molti movimenti nel taiji, alcuni lenti, altri esplosivi, altri ancora anche molto complessi, ma tutti seguono lo stesso principio: il dan tian si muove ed il resto del corpo segue”. Cercherò magari in futuro di spiegare ancora meglio questo principio e le sue applicazioni.